Questo scritto costituisce la prima parte del discorso relativo all'estensione della consultazione partecipata nelle comunità educative. Qui mi soffermo sulla nascita dei servizi per adolescenti e sulle specificità delle comunità - premesse necessarie per poter raccontare come e perché si è arrivati all'idea di estendere il metodo di Dina Vallino.
Ho detto e scritto molte volte che l'estensione della consultazione partecipata è nata nel contesto delle comunità educative per adolescenti, ma finora non ho mai raccontato quella storia. Credo sia arrivato il momento di farlo.
Prima, però, facciamo un passo indietro. Per capire come e perché si è sviluppato il metodo dell'estensione, è necessario innanzitutto comprendere cosa sono le comunità educative per adolescenti, quando sono sorte, perché, con quale finalità.
Partiamo da una brevissima trattazione storica:
negli anni Sessanta e Settanta del 900 vengono messi in campo i primi interventi a favore di adolescenti e giovani adulti: è l'epoca dell'animazione sociale;
negli anni Ottanta, per far fronte alla cosiddetta "emergenza giovanile", i centri per l'animazione territoriale sono ripensati e adattati, in modo che assolvano alla funzione di contrastare e prevenire emarginazione, disagio e devianza: nascono i primi centri di aggregazione con finalità educative;
negli anni Novanta questi centri si trasformano e si sviluppano, diventando veri e propri servizi educativi, grazie anche a una nuova legislazione che potenzia l'azione degli Enti locali in materia di politiche sociali rivolte ai minori: è questo il decennio della Legge 216/1991, del Fondo Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza, della Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
I servizi dedicati alle fasce preadolescenziale, adolescenziale e giovanile sono, quindi, piuttosto recenti. Nonostante ciò, sono tanti e diversi. Seguendo lo schema proposto da Kanizsa e Mariani, possiamo suddividerli in tre gruppi, corrispondenti a tre grandi aree di intervento:
servizi per l'aggregazione, la promozione, l'informazione e l'orientamento (CAG, Informagiovani, centri per l'orientamento, oratori);
servizi per la prevenzione del disagio e della devianza (educativa di strada, centri diurni, progetti educativi di gruppo);
servizi educativi nell'ambito della giustizia minorile e della tutela minori.
Questa terza area, molto eterogenea, comprende: realtà istituzionali strettamente connesse al Dipartimento di Giustizia Minorile e ai Centri di Giustizia Minorile (come i CPA e gli USSM); servizi territoriali di accompagnamento educativo alla Messa alla Prova o al reinserimento sociale di ragazzi e ragazze autori di reato; servizi che intervengono direttamente sul contesto familiare, come l'educativa domiciliare; servizi residenziali (comunità educative) e semi-residenziali (gruppi appartamento) per preadolescenti e adolescenti allontanati dal nucleo familiare oppure stranieri non accompagnati.
Eccoci dunque finalmente arrivati alle comunità per minori!
Nate per rispondere ai bisogni di bambini allontanati dalla famiglia d'origine, queste strutture hanno poi subito una trasformazione e un'espansione che le ha portate ad accogliere anche adolescenti con percorsi esistenziali sofferenti.
La specificità di questi servizi è la residenzialità, una dimensione che permette di lavorare sugli aspetti esistenziali e relazionali che emergono dalla vita quotidiana in comune. La condivisione del tempo, la gestione degli spazi, l'elaborazione di routines e rituali di ogni giorno sono gli elementi caratteristici di questi dispositivi pedagogici.

La comunità è per eccellenza il luogo dove si gioca il paradosso dell'educazione: fondarsi su un rapporto di dipendenza, per promuovere l'autonomia.
L'educazione è sempre una relazione (d'aiuto) che mira a estinguere se stessa, che raggiunge il suo scopo quando non serve più.
Il senso degli interventi educativi risiede infatti nel loro essere strutturalmente temporanei. Noi professionisti lavoriamo per favorire lo sviluppo di risorse e l'acquisizione di competenze... in vista del momento in cui dovremo congedarci, per lasciare all'altro la libertà, e con essa la responsabilità, di dar forma al suo percorso esistenziale.
E ciò è tanto più vero in comunità, il luogo in cui ragazzi e ragazze entrano sapendo già quando usciranno, arrivano per fermarsi un po'.
Lo spazio - fisico, mentale e relazionale - protetto dentro il quale sperimentare e sperimentarsi, fare esperienza della vita quotidiana e di sé. L'ambiente dove potenziare risorse e acquisire nuovi strumenti, sviluppare meccanismi regolativi, costituire o rafforzare l'apparato per pensare, raggiungere un certo grado di indipendenza.
E, infine, andar via più liberi, responsabili, fiduciosi, attrezzati e autonomi.
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