In quanto professionista dell'incertezza, l'educatore è un esperto dell'epoché.
In quanto accompagnatore in un percorso, l'educatore è un esperto dei saluti.
Sono, l'epoché e i saluti, due pratiche affatto semplici e banali, eppure sempre necessarie.
Con questo testo, l'avrete forse già intuito, vorrei riprendere due aspetti del lavoro educativo che ho accennato negli articoli precedenti, e approfondirli.
Volendone dare una definizione generale e sintetica, potremmo dire che l'educazione è una "attività volta allo sviluppo e alla formazione di conoscenze e facoltà mentali, sociali e comportamentali in un individuo" (Sergio Tramma). L'obiettivo dell'educazione è il perseguimento del benessere, inteso come il massimo livello possibile (in quel determinato momento) di sviluppo e adattamento dell’organismo all’interno del proprio ambiente di vita. Non si tratta, quindi, di indicare e/o fornire soluzioni, ma di andare alla scoperta delle risorse interne dell'educando, affinché possa trovare un miglior livello di adattamento.
Il compito generale dell'educatore professionale è "individuare/promuovere/sviluppare le cosiddette potenzialità (cognitive, affettive, relazionali) dei soggetti" (Sergio Tramma) attraverso azioni promozionali, preventive o riabilitative. Nell'esercizio del suo ruolo, quindi, l'educatore si fa strumento. Non dà istruzioni, non aggiunge contenuti suoi, non satura, non corregge, non si sostituisce. Al contrario, favorisce l'autonomia.
Nel mio lavoro con le famiglie, quando nel colloquio conoscitivo spiego il mio ruolo e il mio metodo, spesso dico ai genitori che il mio compito non è quello di aiutare il bambino, ma quello di aiutare loro genitori ad aiutare il bambino, in modo che possano, poi, come sistema famiglia, aiutarsi da soli.

Per poter davvero incontrare l'altro nella situazione specifica e nel momento particolare in cui si trova, per poter entrare in contatto con lui nella sua individualità e singolarità, per poter poi "tirare fuori" qualcosa da lui, occorre fare epoché.
L'epoché, definita solitamente come "sospensione del giudizio", è il processo cognitivo di messa in parentesi del proprio sapere, la condizione mentale particolare opposta al pre-giudizio. Nell'educazione, si tratta di accantonare - non negare, ma momentaneamente tenere tra parentesi - tutto ciò che si sa sull'educando e sulla sua situazione, per poterlo accogliere, per porsi verso di lui con un approccio benevolo e simpatico. Non si tratta né di una reale non-conoscenza (teorica) né di una mancanza di esperienza (professionale) bensì di un accorgimento tecnico che l'educatore utilizza per diventare più permeabile.
Il lavoro dell'educatore è un lavoro relazionale ma la relazione con l'educando non è il fine, bensì il mezzo. E infatti la relazione (su cui e attraverso cui opera) è una relazione finalizzata. Il percorso educativo è un percorso preciso con un obiettivo preciso.
Pertanto, la relazione tra educatore ed educando ha un inizio e una fine, dura solo per il tempo necessario al perseguimento del benessere, nel senso esposto sopra. L'educatore adempie al suo compito/mandato proprio quando può salutare l'educando - ormai autonomo.
Citando ancora una volta Sergio Tramma: "L'esperienza educativa, per poter essere definita esperienza compiuta, deve quindi generare autonomia da se stessa, operare per la propria estinzione, per la propria inutilità, per l'autonomia del soggetto educando dal processo, dalle istituzioni, dai servizi, dagli operatori che hanno stimolato e attivato processi di cambiamento". Ma non è scontato che l'esperienza educativa si compia. Anzi...
Può capitare - e capita! - che la relazione si interrompa durante il percorso, per uno dei tanti incidenti che possono occorrere lungo la via, oppure che si chiuda quando si riscontra una impossibilità. Così come succede - spesso, per la verità - di scoprire risorse e potenzialità diverse da quelle desiderate/previste/prefissate, oppure di compiere bruschi cambi di direzione nel percorso e scalare una cima diversa da quella inizialmente stabilita.
In ogni caso, è necessario avere sempre la coerenza e l'onestà di capire quando è arrivato il momento di fermarsi per lasciare proseguire l'educando da solo. E salutarlo, con senso e con serenità.
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