Questo articolo costituisce la trascrizione, un po' rivisitata ma comunque fedele, dell'episodio 12 del mio podcast Nel frattempo.
Cos'è la teoria polivagale? Davvero può essere utile a chi si occupa di educazione?
Dopo esserci a lungo dedicati a servizi educativi e ad aspetti che riguardano la pratica, per la prima volta affrontiamo un argomento teorico, per altro molto trasversale, nient'affatto specifico del campo pedagogico: la teoria polivagale.
Per capire di cosa si tratta, iniziamo dalle parole.
Il termine "polivagale" deriva dalla scoperta che il nervo vago, cioè il decimo nervo cranico, è composto da due rami separati e distinti, dorsale e ventrale, a loro volta suddivisi in due componenti, una viscero-motoria (che regola gli organi sopra e sotto diaframmatici) e una somato-motoria (che regola i muscoli del collo, del volto e della testa).
"Teoria" perché su questa scoperta Porges ha costruito un sistema di pensiero ampio. In seguito, sulle sue idee e intuizioni sono stati svolti migliaia di studi e quindi nel tempo la teoria è stata validata da parte della comunità scientifica. In questo senso, possiamo pensare alla teoria polivagale allo stesso modo in cui pensiamo alla teoria dell’attaccamento.
La teoria polivagale riguarda il funzionamento del sistema nervoso autonomo, ma nelle intenzioni del suo autore è soprattutto una teoria sul legame tra corpo e cervello.
Infatti, Porges si contrappone al dualismo che da secoli informa la nostra cultura, affermando che c’è una connessione bidirezionale corpo-cervello e cercando di spiegare quali sono i meccanismi neurofisiologici che la regolano. Semplificando e sintetizzando al massimo: le fibre sensoriali trasmettono informazioni al cervello, mentre le fibre motorie riportano indietro le informazioni; in questo modo, i processi psicologici influenzano lo stato corporeo, mentre lo stato corporeo influenza la percezione.
Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, definiamo cos’è il sistema nervoso autonomo, detto anche vegetativo o viscerale. È un insieme di cellule e fibre che innervano gli organi interni e le ghiandole, al fine di controllare le funzioni vegetative, cioè tutte quelle funzioni che generalmente sono al di fuori del nostro controllo volontario – come la respirazione, il battito del cuore etc.
A scuola, noi studiamo che il SNA è composto da due circuiti, simpatico e parasimpatico. La teoria polivagale mostra che i circuiti sono tre: simpatico, dorsovagale e ventrovagale.
Già prima degli studi di Porges sapevamo che il nervo vago ha un ruolo fondamentale nel funzionamento del SNA. Infatti, il nervo vago, che è il nostro nervo più lungo, dal tronco encefalico si dirama fino al volto, alla gola, alle orecchie, agli organi sopra il diaframma e ai visceri sotto il diaframma.
Grazie al lavoro di Porges, adesso sappiamo anche che i due rami del vago nascono da due punti diversi: il ventrale dalla parte più antica del nostro cervello, il cosiddetto cervello rettile, e il dorsale dalla parte più evoluta. Quindi il vago ventrale e il vago dorsale si configurano come due branche del sistema parasimpatico.
Ma non è finita qui.
La teoria polivagale spiega che i tre circuiti del SNA riflettono la nostra filogenesi:
il sistema più arcaico è quello dorsovagale, che abbiamo in comune coi rettili e che, in caso di pericolo di vita, ci permette di immobilizzarci;
il sistema simpatico, il secondo a svilupparsi, è tipico dei mammiferi e regola la reazione di attacco/fuga;
infine il sistema ventrovagale, quello più recente, è deputato alle relazioni sociali.
Come ben sintetizza Porges: “In pratica durante la filogenesi lo sviluppo dell’autoregolazione animale comincia con un sistema primitivo di inibizione del comportamento, si affina con il sistema di attacco e fuga, e nei mammiferi superiori, in particolare nell’uomo, culmina in un sistema sofisticato di ingaggio sociale mediato dalle espressioni facciali e dalle vocalizzazioni.”
Il tema centrale della teoria polivagale è la sicurezza.
Per noi esseri umani, è fondamentale sentirci al sicuro nell’ambiente in cui ci troviamo e nelle relazioni che abbiamo. Solo quando ci sentiamo al sicuro siamo in grado di funzionare al meglio, soprattutto dal punto di vista sociale.
Secondo la teoria polivagale, noi obbediamo a due imperativi biologici: rimanere in vita e stare in connessione. Il SNA risponde a questi due bisogni (sopravvivenza e ingaggio sociale) che sono in opposizione tra loro.
Se ci sentiamo in pericolo, il SNA attiva il circuito simpatico o il circuito vagodorsale, cosicché possiamo far fronte alla minaccia e proteggerci. Se ci sentiamo al sicuro, attiva il circuito ventrovagale.
Solo quando ci troviamo in uno stato fisiologico ventrovagale possiamo riposare, ristorarci, giocare, essere gentili e amorevoli, creare nuovi legami, sentirci in intimità con un’altra persona etc.
I principi organizzativi della teoria polivagale sono tre:
Il principio di gerarchia autonomica afferma che il SNA – nell’attivare, di volta in volta, uno dei tre circuiti – segue, appunto, un criterio gerarchico. Fin dove è possibile, dà la "precedenza" al vagoventrale, dopo di che sceglie il simpatico e, quando nemmeno questo è adatto alla situazione, attiva il vagodorsale.
Il termine “neurocezione”, coniato da Porges, indica un processo di sorveglianza neurale in assenza di consapevolezza. È il meccanismo attraverso cui il SNA monitora tutti gli stimoli provenienti dall’interno del corpo, dall’ambiente circostante e dalle altre persone. Grazie alla neurocezione, il SNA risponde continuamente alla domanda: in questo momento sono in pericolo oppure al sicuro?
Il principio della co-regolazione afferma che le esperienze di co-regolazione (esperienze di sicurezza in connessione con un’altra persona) sono propedeutiche alla nostra capacità di auto-regolazione, in quanto il nostro SNA apprende, cioè crea dei pattern di riposta abituali sulla base delle esperienze. A questo proposito, una delle massime esperte di teoria polivagale, Deb Dana, scrive: “Se supportati dalle relazioni di co-regolazione, diventiamo resilienti. Attraverso la partecipazione in relazioni caratterizzate da innumerevoli esperienze di mancata sintonia, diventiamo maestri di sopravvivenza. In ognuna delle nostre relazioni il SNA impara qualcosa del mondo e viene tonificato ad abitudini di connessione o di protezione.”