La pedagogia è una scienza contaminata e contaminante.
Nello scorso articolo ho accennato a come la pedagogia si basi anche sui contributi della psicologia, della psicoanalisi, della sociologia, dell'antropologia, della filosofia e delle neuroscienze.
Facciamo anche questa volta una breve incursione nel meraviglioso territorio delle etimologie.
Psicologia deriva dai termini greci "psiche" (anima) e "logos" (discorso, studio). In estrema sintesi, la psicologia è la scienza che studia i processi e i fenomeni psichici.
Sociologia deriva dal latino "socius" (compagno, alleato) seguito dal greco "logos". In breve, la sociologia è la scienza dei fenomeni sociali, di cui studia le cause, gli effetti, le manifestazioni e i processi, nonché le relazioni.
Antropologia deriva ancora una volta da "logos", preceduto da "antropos" (uomo). Senza entrare nello specifico, l'antropologia è la scienza dell'uomo, inteso sia come individuo sia come aggregati, comunità, situazioni.
Filosofia deriva dal sostantivo "sofia" (sapienza) preceduto dal verbo "filein" (amare). Nel suo significato originario, la filosofia era quindi la disciplina (o l'attività del pensiero) attraverso cui si ricercava la conoscenza. Oggi la filosofia si occupa per lo più di chiarire questioni e problemi di ambiti disciplinari specifici, operando sempre in sinergia con le altre scienze.
E' facile vedere come la pedagogia condivida con queste altre scienze l'oggetto ultimo di studio: l'essere umano. Considerate insieme, infatti, vengono chiamate discipline umanistiche.
E le neuroscienze? Come si collocano rispetto alla pedagogia e, più in generale, rispetto alle scienze umane?
E' ormai un fatto incontestabile che tutte queste scienze stiano convergendo verso il paradigma comune delle neuroscienze cognitive, i cui studi stanno facendo luce su varie delicate questioni e diverse importanti tematiche, quali l'inconscio, l'epigenetica, lo sviluppo del cervello, le funzioni esecutive, l'apprendimento, l'attaccamento, la comunicazione.

Fatta questa lunga premessa, vorrei soffermarmi sul rapporto tra pedagogia e psicologia per cercare di esporre un concetto che mi sta molto a cuore: pedagogia e psicologia non sono reciprocamente escludentisi né incompatibili né in conflitto. Sono, anzi, profondamente connesse!
Consideriamo brevemente tre fattori.
Il primo riguarda la storia della pedagogia. Concepita a lungo come ramo della filosofia, solo con l'avvento del positivismo inizia a definirsi come disciplina autonoma, in virtù della sua stretta relazione con la psicologia. Senza andare troppo a ritroso, si pensi ad Hall (pedagogista e psicologo noto in particolare per la sua teoria dell'adolescenza) o a Bowlby (psicologo e psicoanalista la cui teoria dell'attaccamento ha avuto grande influenza anche sulla pedagogia) o a Piaget (pedagogista i cui studi sullo sviluppo sono stati fondamentali anche per la psicologia).
Il secondo riguarda il modello bio-psico-sociale, ovvero il modello (di analisi e di intervento) che unisce biologia, psicologia e sociologia. Quasi tutta la letteratura di settore degli ultimi ottanta anni si riferisce a questo modello. Anche l'ultima definizione di salute data dall'OMS ("capacità di adattamento e di autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive") va in questa direzione. Pertanto pedagogia e psicologia condividono un modello, quindi hanno una prospettiva comune e un obiettivo comune.
Il terzo fattore riguarda la complessità della società contemporanea. I bisogni, le problematiche, le situazioni di fragilità o di pregiudizio riflettono questa complessità. E richiedono, quindi, interventi a loro volta complessi. Interventi spesso multi-disciplinari e cioè multi-professionali, nel rispetto delle specificità di ogni professione, ma in modo sinergico, interconnesso e integrato. Nel mondo del sociale, le commistioni sono necessarie e proficue. Ogni sapere si appoggia agli altri e agli altri fornisce appoggio. Ogni professione si integra alle altre ai fini di una presa in carico ampia e coerente, più efficace, più critica.
Pedagogia e psicologia possono collaborare. Devono farlo.
Talvolta possono collaborare anche con la pediatria, la medicina, la psichiatria, la neuropsichiatria, la logopedia, la mediazione familiare o la coordinazione genitoriale, le politiche sociali, la scuola.
Per scongiurare il rischio di frammentare le situazioni e le persone. Per rispondere alla complessità dell'essere umano e della società.
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