Ci ho pensato molto e alla fine ho deciso di dedicare il primo articolo del 2021 a un concetto che mi sta molto a cuore: la rêverie.
Mi rendo conto che questa scelta può apparire un azzardo, poiché si tratta di un concetto niente affatto semplice e apparentemente di esclusivo appannaggio della psicoanalisi. Ma la rêverie costituisce uno degli strumenti centrali del mio lavoro e perciò per me è importante scriverne.
Provo a darne una spiegazione semplice.
Bion introduce il concetto di rêverie per spiegare il tipo di contenimento che spetta alla madre e definisce la rêverie come la "fonte psicologica che provvede al bisogno di comprensione e di amore del bambino".
Secondo Bion una madre aiuta il suo bambino non semplicemente pensando un sua vece (facendo i pensieri che egli non è in grado di fare) bensì esercitando la propria rêverie, cioè assumendo verso di lui "un atteggiamento sognante".
La funzione materna di rêverie consiste, in particolare, nello svolgere una operazione di trasformazione delle angosce. La mente permeabile della madre accoglie e trasforma le angosce infantili per poi riconsegnarle al bambino in una forma tollerabile, pensabile. Ma in questo processo la madre dona al figlio, oltre agli elementi angosciosi trasformati, anche quella particolare qualità mentale (detta funzione alfa) che consente questo tipo di operazione trasformativa.
E ciò è, secondo Bion, anche quello che dovrebbe fare l'analista con il paziente: assumere ciò che proviene da lui, riconsegnarlo trasformato e trasmettere il metodo.
Fin dai primi anni di lavoro con i minori e le famiglie, ho potuto sperimentare spesso l'utilità e la potenza della rêverie, che pian piano è diventata uno dei (pochi) elementi fissi della mia cassetta degli attrezzi.
Nel lavoro educativo, l'operazione della rêverie non ha, ovviamente, alcun intento terapeutico. Non pretende, cioè, di guarire. Si tratta semplicemente di interessarsi - in modo profondo e autentico - al mondo interno dell'educando. L'educatore, cioè, accoglie tutti quei vissuti (pensieri, emozioni, sensazioni, stati d'animo) faticosi e difficili che provengono dall'educando e li mette in parola, restituendoglieli in una forma più pulita, più semplice, più chiara.
Con le opportune differenze nelle modalità di approccio e di comunicazione, questa operazione si può compiere sia con i bambini sia con gli adolescenti sia con gli adulti. Inoltre, può risultare efficace e preziosa sempre, indipendentemente da quali siano gli obiettivi fissati e i progetti stabiliti. Perché la pratica della rêverie non ha un suo fine specifico, ma concorre al fine generale di promuovere il processo di sviluppo e/o di cambiamento a cui l'educatore è chiamato a partecipare.

Provo a fare un esempio.
Una delle situazioni che molto spesso mi si presentano nel lavoro con le famiglie è questa: durante un momento di gioco condiviso, il bambino, fino a quel momento allegro e sereno, a un tratto diventa brusco, nervoso, rumoroso. Tipicamente un tale cambiamento di atteggiamento si può verificare in tre casi: il genitore si distrae in altro, il genitore in qualche modo impedisce lo sviluppo dell'attività, il genitore fa un discorso complicato oppure pone una domanda difficile.
In situazioni di questo tipo, può essere molto utile descrivere ciò che sta accadendo, dando voce allo stato d'animo del bambino. Notare il cambiamento nel gioco, raccontarlo e dotarlo di significato, consente al bambino di esprimere ciò che non lo fa stare bene. Parallelamente ciò consente al genitore di riconoscere e comprendere il segnale del figlio.
In molti casi, può essere utile verbalizzare anche lo stato d'animo dell'adulto, in modo da far circolare i vissuti di entrambi, genitore e figlio, e conseguentemente di favorire la comunicazione e il contatto tra loro.
L'esempio che ho fatto, seppur molto generale, si riferisce ovviamente agli interventi domiciliari con famiglie in difficoltà, nell'ambito della libera professione.
Ma la rêverie può costituire un valido strumento in molti e diversi contesti. Personalmente ho avuto modo di sperimentarne la portata in tutti i servizi in cui ho lavorato: comunità educative, comunità terapeutiche, servizi per disabili, spazio neutro.
In estrema sintesi, dunque, nel lavoro educativo l'operazione della rêverie consiste nel riconoscere ciò che accade, comprenderlo e metterlo in parola, senza intenti interpretativi né tanto meno terapeutici, anzi, più in generale, senza pretese né aspettative di alcun tipo. Può anche accadere che la nostra operazione non sortisca alcun effetto evidente o che generi uno stato di turbamento. Non spaventiamoci, non allarmiamoci. Nel peggiore dei casi, il nostro piccolo atto trasformativo sarà solo una lieve carezza...
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